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Scelte alimentari rigide possono accentuare disagio emotivo e sintomi depressivi: uno studio rivela connessioni inaspettate che mettono in discussione luoghi comuni diffusi sul benessere psicofisico.
La dieta non sempre salva: quando mangiare meno diventa un rischio per la salute mentale
Mangiare sano, perdere peso, sentirsi meglio.
Sembra il mantra perfetto della società moderna, l’equazione magica che promette energia, autostima, controllo.
Eppure, secondo un recente studio pubblicato su BMJ Nutrition, Prevention & Health, seguire una dieta ipocalorica può avere l'effetto opposto su mente ed emozioni, diventando una potenziale minaccia per l’equilibrio emotivo.
Il team guidato da Gabriella Menniti, psichiatra presso la University of Toronto, ha analizzato i dati di oltre 28.500 adulti americani, estratti dal National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) tra il 2007 e il 2018, per comprendere l'effetto reale dei modelli alimentari sul benessere psicologico e sulla comparsa di sintomi depressivi.
Dieta e depressione: un legame (in)atteso
L'indagine ha utilizzato il questionario PHQ-9, uno strumento clinico riconosciuto per valutare la gravità dei sintomi depressivi, sia nella componente somatica che cognitivo-affettiva.
Tra i vari regimi alimentari analizzati, l'unico associato in modo statisticamente significativo a un aumento dei sintomi depressivi è risultato essere proprio quello ipocalorico: +0,29 punti nel punteggio PHQ-9 rispetto a chi non seguiva alcuna dieta.
Un dato sorprendente, considerato che studi clinici precedenti avevano suggerito benefici emotivi legati alla perdita di peso e all'adozione di regimi salutari, spesso promossi come panacea contro stanchezza cronica, malessere generalizzato e ansia.
Ma c'è un punto cruciale: quegli studi erano condotti in ambienti controllati, con diete progettate da specialisti, supporto costante e un apporto bilanciato di nutrienti essenziali.
Nella realtà quotidiana, invece, le diete restrittive spesso implicano carenze nutrizionali, aumento dello stress, isolamento sociale e ansia da prestazione, tutte condizioni che possono amplificare i disturbi dell'umore in persone già vulnerabili.
Una dieta pensata per "rimettersi in forma" rischia quindi di trasformarsi in un detonatore per sintomi depressivi, alterazioni del sonno e calo del tono dell'umore.
Uomini più vulnerabili, e chi è in sovrappeso ancora di più
L'impatto psicologico della dieta non è uniforme e varia significativamente in base al genere, al peso corporeo e al tipo di restrizione seguita.
I risultati mostrano che gli uomini biologici sono più esposti ai sintomi somatici (come insonnia, affaticamento, tensione fisica) legati alle diete rispetto alle donne.
Con qualsiasi tipo di restrizione alimentare, gli uomini hanno manifestato un incremento significativo dei sintomi rispetto ai coetanei che non seguivano alcun regime particolare.
Inoltre, tra le persone in sovrappeso, le diete ipocaloriche hanno fatto registrare un incremento di 0,46 punti nel punteggio PHQ-9, mentre le diete a restrizione di specifici nutrienti (come carboidrati o grassi) hanno portato a un aumento ancora più marcato: +0,61 punti.
Questo suggerisce che, oltre al fattore quantitativo (meno calorie), anche quello qualitativo (quali nutrienti vengono eliminati) gioca un ruolo chiave nell’impatto sull’umore.
Un dato che impone una riflessione seria sull'approccio "fai da te" alla perdita di peso, dove l'autodiagnosi e l'autogestione si scontrano con la complessità dell'equilibrio psico-nutrizionale.
Verso una dieta che cura davvero: il ruolo della personalizzazione
I ricercatori sottolineano che non esiste una definizione universale di "dieta sana", perché ciò che può giovare a una persona potrebbe essere dannoso per un’altra, soprattutto se non accompagnato da un’analisi clinica e psicologica individuale.
E invitano a una maggiore cautela nell'approccio a regimi alimentari restrittivi, soprattutto se non supervisionati da professionisti qualificati in nutrizione clinica e salute mentale.
Serve un cambio di paradigma: non basta ridurre le calorie né seguire mode alimentari improvvisate.
Occorre costruire un piano alimentare personalizzato, che tenga conto del contesto clinico, psicologico e sociale della persona, del suo rapporto con il cibo e dei fattori di rischio legati all’umore.
La sfida futura, secondo gli autori, sarà sviluppare strategie nutrizionali mirate, capaci di coniugare efficacia clinica e tutela della salute mentale, integrando eventualmente l’intervento di psicologi, psichiatri e dietisti in un approccio multidisciplinare.
L’obiettivo non deve essere solo perdere peso, ma vivere meglio.
Attenzione, dunque, a cosa mettiamo nel piatto: la mente, spesso, mangia con noi.
Quindi, se stai pensando di intraprendere una dieta, parlane con un professionista: la salute mentale merita lo stesso rispetto della forma fisica. E, soprattutto, nessun percorso salutare dovrebbe farti sentire peggio.