.png)
Un progetto ambizioso rischia di diventare un archivio sterile.
La vera svolta? Usare bene i dati che già ci sono e dove servono davvero.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, pensato come svolta epocale per la sanità digitale italiana, rischia di trasformarsi nell’ennesimo colosso burocratico, più utile a generare adempimenti che a curare i pazienti.
Sulla carta, dovrebbe semplificare, integrare, digitalizzare.
Nella realtà, per medici e pazienti si rivela spesso un contenitore vuoto, pieno di promesse e povero di dati realmente utili alla diagnosi e alla terapia.
Il ragionamento che segue smonta il mito dell’innovazione fine a sé stessa e propone una via concreta e immediata: usare i dati clinici già generati, ogni giorno, dentro ospedali, ambulatori, laboratori.
Non serve moltiplicare piattaforme, ma farle funzionare davvero.
Una riflessione profonda su come trasformare una rivoluzione digitale in una vera rivoluzione sanitaria.
Perché la medicina ha bisogno di strumenti agili, non di nuove scartoffie in formato elettronico.
FSE 2.0 ed EDS: un gigante burocratico che non cura – la vera svolta è nei dati già disponibili
Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, nato per rivoluzionare la sanità digitale italiana, rischia di restare un imponente contenitore vuoto, inadeguato ai fini clinici reali.
Nonostante l'ambizione del progetto e l’integrazione con l’Ecosistema dei Dati Sanitari (EDS), la sua utilità per medici e pazienti si rivela oggi fortemente limitata.
Il motivo?
I dati clinicamente rilevanti non sono lì dove servono, né in forma né in tempo.
La logica del FSE 2.0, così come concepita, si fonda su un’infrastruttura centralizzata e standardizzata, ma spesso distante dalle dinamiche reali di cura.
I dati presenti nel fascicolo – quando ci sono – risultano frammentari, disallineati temporalmente e, soprattutto, scollegati dai contesti operativi di diagnosi e trattamento.
Anche l’EDS, lanciato come complemento evoluto per l’analisi e la governance, non colma questo vuoto: offre un ecosistema informativo più avanzato, ma non risponde al bisogno immediato del medico di base, dello specialista, del pronto soccorso.
Eppure la soluzione è sorprendentemente a portata di mano.
Le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, ogni giorno, producono e gestiscono i dati realmente necessari alla cura: referti, diagnosi, terapie, esiti.
Questi dati, già digitali e disponibili nei sistemi gestionali interni potrebbero essere condivisi in modo diretto e sicuro con i medici che ne hanno bisogno per curare.
Non servono nuove piattaforme, ma regole operative e tecniche chiare per l’interoperabilità applicata.
In questo scenario, la vera rivoluzione non è un nuovo software, ma un cambio di paradigma: consentire ai medici l’accesso ai dati clinici dove questi realmente risiedono, all’interno delle strutture che li producono.
Una rete di condivisione diretta, fondata sul principio della cura e non sulla centralizzazione, permetterebbe di risolvere tre problemi in uno:
1. Migliorare l’efficacia e la continuità della cura per pazienti cronici, fragili e multi-patologici;
2. Alimentare automaticamente il FSE 2.0 e l’EDS in modo coerente, senza ulteriori oneri documentali;
3. Ridurre la burocrazia digitale che oggi grava su operatori sanitari, trasformandola in un valore clinico reale.
Serve dunque un cambio di passo.
Il FSE 2.0, per diventare davvero utile, deve smettere di essere solo una raccolta documentale e diventare uno strumento operativo.
E questo sarà possibile solo se si parte dai dati clinici effettivamente generati e usati nei luoghi della cura, mettendoli finalmente al servizio della medicina, e non della burocrazia.
Il paradosso si fa ancora più evidente se si guarda agli investimenti previsti dal PNRR, in particolare alla Missione 6 – Componente 2, che destina risorse significative alla digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e alla diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico.
Una parte consistente di questi fondi è stata riservata alla formazione degli operatori sanitari proprio sul FSE 2.0.
Tuttavia, senza una visione strategica che renda il FSE realmente utile nella pratica clinica quotidiana, la formazione rischia di trasformarsi in un esercizio sterile, lontano dai bisogni concreti dei professionisti e dei cittadini.
Le vere trasformazioni digitali non hanno avuto mai bisogno della formazione, e di certo non di quella "alla siciliana”.
Basti pensare alla trasformazione digitale delle banche con l’introduzione dei bancomat solo il passa parola e l’utilità riconosciuta dai cittadini ha reso il Bancomat lo strumento ormai utilizzato da tutta la popolazione per I servizi bancari.
Il FSE 2.0. e l’EDS non riescono a risolvere la sindrome dei troppi documenti, ne più e ne meno come avviene oggi con I dossier cartacei portati dai pazienti.
Ecco perché non si percepisce l’utilità.
La divulgazione e l’adozione del FSE 2.0 non possono basarsi solo su corsi o manuali d’uso: devono fondarsi su uno strumento che funzioni, che sia integrato e utilizzabile.
Solo così la formazione può diventare leva di cambiamento culturale e operativo.
Altrimenti, resterà un ulteriore capitolo di spesa senza impatto e con i soliti sprechi.