
Nonostante i grandi passi avanti nella cura della LMC, la convivenza quotidiana con la malattia resta complessa: il 30% dei pazienti abbandona le terapie per gli effetti collaterali.
Una malattia rara, una lotta quotidiana
La leucemia mieloide cronica (LMC) è una forma rara di tumore del sangue che, in Italia, riguarda circa 9.000 persone.
Negli ultimi vent’anni, la medicina ha compiuto progressi straordinari, migliorando radicalmente l’aspettativa di vita dei pazienti, oggi quasi sovrapponibile a quella della popolazione generale.
Eppure, la battaglia non è finita.
Le difficoltà non sono solo cliniche, ma anche psicologiche e relazionali, e il punto critico resta l’aderenza terapeutica, fondamentale per garantire l’efficacia delle cure.
Effetti collaterali e aderenza: il nodo ancora da sciogliere
Secondo lo studio ASC4FIRST, circa il 30% dei pazienti con nuova diagnosi di LMC interrompe o cambia terapia a causa di effetti collaterali.
Un dato allarmante, che rischia di compromettere i risultati terapeutici raggiunti con fatica e ricerca scientifica.
Qualità della vita: cosa dicono davvero i pazienti
Per far emergere la voce dei pazienti, Novartis Italia ha promosso insieme a Elma Research lo studio “La qualità di vita dei pazienti con LMC”, coinvolgendo 146 pazienti, di cui il 51% in prima linea di trattamento.
I risultati parlano chiaro:
1 su 3 valuta negativamente la propria qualità della vita, soprattutto a causa degli effetti collaterali cronici.
Tra i disturbi più frequenti segnalati:
- Stanchezza persistente
- Crampi muscolari
- Aumento di peso
- Gonfiore agli occhi
- Nausea e diarrea
In particolare, il 40% dei pazienti ha avuto effetti collaterali, e nel 36% dei casi questi non si sono mai risolti.
Il peso della cronicità: un impatto quotidiano
“Abbiamo farmaci potenti e innovativi, ma la natura cronica della malattia obbliga i pazienti a conviverci ogni giorno”, spiega il dott. Fabio Efficace, presidente del WP Quality of Life di Gimema.
Un carico non indifferente che, se non adeguatamente gestito, può portare a una ridotta aderenza terapeutica.
Per questo motivo, è fondamentale monitorare attivamente la qualità della vita nella pratica clinica, agendo in maniera proattiva contro fatica, dolore e disagio.
I giovani pazienti: i più colpiti dall’impatto sociale
Sebbene l’età media alla diagnosi sia attorno ai 60 anni, i pazienti più giovani – spesso ancora in piena attività lavorativa e sociale – risultano essere quelli più vulnerabili.
“Per gli under 60, l’interruzione della terapia può avere ripercussioni devastanti”, aggiunge il dott. Efficace.
Serve più ascolto: comunicare è curare
Dalla survey CML SUN, realizzata in diversi Paesi europei, emerge che solo il 26% dei pazienti ha discusso le decisioni terapeutiche con il proprio ematologo.
Al contrario, oltre il 50% dei clinici si è dichiarato l’unico decisore.
Una dinamica che le associazioni di pazienti considerano inaccettabile.
“Il paziente deve essere informato, ascoltato e coinvolto”, spiega Felice Bombaci, coordinatore dei gruppi pazienti AIL.
“Solo così può affrontare consapevolmente le difficoltà e non interrompere autonomamente la terapia”.
Ricerca e futuro: la centralità del paziente come guida dell’innovazione
“Abbiamo rivoluzionato la prognosi della LMC, ma non ci fermiamo”, afferma Paola Coco, Chief Scientific Officer Medical Affairs Head di Novartis Italia.
“Oggi lavoriamo per migliorare ulteriormente la qualità di vita, riducendo gli effetti collaterali e ascoltando le esigenze reali dei pazienti”.
Anche la dr.ssa Elisabetta Abruzzese, dirigente di Ematologia al Sant’Eugenio di Roma, conferma che il futuro della cura passa da un’alleanza sempre più stretta tra medico, paziente e ricerca.
Conclusione: la vera cura è ascoltare
La leucemia mieloide cronica non è più una condanna, ma resta una sfida lunga e complessa.
Una sfida che richiede tecnologie d’avanguardia, empatia clinica e centralità del paziente.
Solo così, qualità della vita e successo terapeutico potranno camminare davvero insieme.